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Intervista a Luisa Valazza: Cucina Stellata e Creatività al Femminile – Parte 1

Intervista a Luisa Valazza, Chef Stellata Ristorante Hotel Al Sorriso

Scorrendo i piani editoriali di CnR ho notato una grave mancanza: abbiamo raccontato soltanto storie di chef uomini. Complice il numero più esiguo di chef donne alla guida di ristoranti stellati e l’immaginario collettivo che, a torto, identifica il genio creativo con il solo genere maschile.

Per correre ai ripari abbiamo ideato una serie di incontri per dar più voce all’estro femminile e non potevo che cominciare con lei: Luisa Valazza, chef del Ristorante Hotel Al Sorriso.

Chef Luisa Valazza, Vita tra Cultura, Arte e Cucina

Luisa Valazza nasce a Soriso, in provincia di Novara, molto vicino al Lago d’Orta, e qui apre con il marito Angelo Valazza, precedentemente titolare di un prestigioso ristorante a Borgomanero ed elegante maestro di sala e di accoglienza, un vero tempio del gusto, ombelico del mondo della ristorazione di classe, lo stellato Ristorante Hotel Al Sorriso, appartenente ai circuiti Le Soste e Les Grande Table du Monde.

Definisce il suo ristorante, con toccante modestia:

La nostra piccola realtà, situata all’inizio di un paese collinare adiacente al Lago d’Orta, proprio dove termina la strada.

Gli ospiti arrivano qui, per il desiderio di venire in questo locale, per avere una serata a degustare cibo e vino, per scoprire la nostra filosofia di cucina.

Luisa Valazza

Nel 1998 riceve il premio internazionale di cucina e la nomina a Cavaliere al merito della Repubblica; nel 2007 esce il suo primo libro di ricette di cucina Italiana: Al Sorriso. La Cucina di Luisa e Angelo Valazza.

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Intervista

Buongiorno Chef Luisa Valazza e grazie per aver accettato di raccontarsi ai lettori di CnR – Comunicazione nella Ristorazione. Cosa ne pensa dell’idea che abbiamo avuto di dare voce alle chef donne, senza retorica e senza parzialità, per raccontarne la figura al femminile?

Luisa Valazza: Idea interessante, soprattutto quando mi parla di far emergere la personalità delle donne chef. In questi anni trovo che la figura dello chef nella sua declinazione femminile sia stata un po’ trascurata a discapito di altri argomenti, quali: i nuovi astri della cucina, le nuove tecniche e le nuove filosofie di cucina.

Qualche anno fa c’è stato il boom a livello giornalistico delle donne chef che avevano “occupato” copertine di riviste specializzate e ora sono nuovamente un po’ trascurate. L’idea di riprendere in mano questa parte di cucina condotta dalle donne con grande fatica – perché oltre al loro lavoro hanno anche altre attività e ruoli da seguire – è importante e anche costruttiva per le chef emergenti, il futuro della cucina italiana.

È fondamentale, però, non volerne creare una moda. Per questo penso che occorra trascendere dal genere: al di là dell’essere uno chef uomo o donna, è opportuno esaltare l’identità creativa e la personalità.

Studi umanistici (laurea in lettere), grande attenzione alla parte visiva, funzionale ed estetica del piatto e poi, praticamente da autodidatta, una carriera strepitosa ai fornelli. Quanto cultura, amore per lo studio e la ricerca hanno influito nella sua crescita professionale?

LV: Ho ricevuto un’educazione di impronta umanistica: sono degli anni 50 e la mia mamma era un’insegnante di scuola elementare. Per l’epoca e in un piccolo paesino come il nostro significava, quasi, essere di un gradino culturale superiore.

Avere un genitore capace di esprimersi in modo originale, che leggeva e scriveva con disinvoltura, mi ha portata sui libri di scuola con più naturalezza rispetto ad alcune amiche e compagne che non avevano una situazione simile in casa. Addirittura mi ha spinto a proseguire gli studi, raggiungendo quel livello di formazione (laurea) che la mia mamma, pur desiderandolo, non aveva potuto ottenere, essendo tempi di guerra.

In verità, in quegli anni avrei preferito scegliere studi artistici piuttosto che umanistici, ma il mio orientamento è stato quello. Il mio destino era diverso: non dietro una cattedra di scuola ma dietro ai fornelli. L’incontro con mio marito, Angelo Valazza, è stato decisivo. Ero a un bivio: continuare a insegnare o fare altro. Lì ho fatto la mia scelta, verso l’arte, perché inconsciamente in mio marito ho visto la possibilità di imboccare un indirizzo artistico: l’ho seguito ed è stato l’amore a farmi cambiare idea, era proprio il mio destino!

Luisa e Angelo Valazza - Ristorante Al Sorriso

Con Angelo, mio marito, e il nostro lavoro comune ho visto il mio sogno realizzarsi.

L’impegno, la tenacia e il metodo che acquisisci durante gli studi rimane anche quando scegli il tuo lavoro. Per dieci anni sono stata un po’ la spalla di mio marito in sala: ho imparato tutto su accoglienza, rispetto per il cliente, come presentare i prodotti.

Caso fortuito volle che il mio cuoco andasse via e avevamo necessità di una urgente soluzione: non individuando un altro chef all’altezza delle nostre esigenze e non potendo chiudere, mi sono trovata in cucina quasi per caso.

Gli ingredienti del suo successo sono quindi stati la passione, l’amore per l’arte, grande metodo nello studio e nella ricerca e anche un po’ di fortuito caso. Abbiamo visto il passato, il presente stellato lo conosciamo, come vede il suo futuro Luisa Valazza: come se lo immagina?

LV: Un altro ingrediente, devo aggiungere, è stata una certa dose di incoscienza. Entravo in cucina senza una preparazione professionale specifica se non con l’esperienza solida ma familiare di una donna che fa le cose bene, con attenzione al prodotto e alla cottura. Insomma elementi che ti portano ad avere già nel DNA una predisposizione e un’attitudine diversa.

Anche una buona manualità e il senso artistico mi hanno aiutato nel continuare sulla strada della cucina piuttosto che dell’accoglienza, anche se vedere cosa succede in sala per me è stato importante per capire cosa la mia clientela vuole e come soddisfarla. Sì, il presente è questo: nel 1996 abbiamo ottenuto 2 stelle, nel 1998 ne abbiamo ottenute 3 conservandole per 16 anni e ora due.

Il futuro è seguire una filosofia di cucina che ho sentito mia, sin dall’inizio: continuare intanto nella ricerca dei prodotti, per difendere il territorio e salvaguardare l’integrità e il valore dell’italianità della materia prima. Se siamo in un periodo dell’anno in cui i contadini non producono molto qui sul territorio io, comunque, seleziono prodotto italiano.

Se ho una cassa di arance spagnole con frutti bellissimi e una cassa di prodotto italiano, pur se meno bello, prediligo comunque quest’ultimo. Difendo le nostre eccellenze, anche perché ho circa il 70% della clientela che è straniera e ci raggiunge qui sul Lago d’Orta per mangiare italiano.

Il piatto è un sigillo di garanzia del Made in Italy.

Nel mio percorso di chef ho sempre cercato e anche aiutato chi è tornato alla terra per lavorarla: incoraggio i contadini affinché non vengano dimenticati, perché sono la garanzia di prodotti nostrani e della nostra cultura.

Questa è una tendenza che si sta diffondendo molto anche nelle aree metropolitane. Pensiamo agli chef che creano gli orti sui tetti; ai nuovi orti urbani, magari non hanno la fortuna di avere la campagna vicina alla loro attività, ma creano progetti veramente emozionanti.

LV: Mi reputo fortunata perché sono in una zona in cui contadini e allevatori seguono anche le mie esigenze: se dico ai miei fornitori di fiducia che non voglio le carote gigantesche ma che le prediligo piccoline, mi seguono e mi sostengono producendo prodotti adeguati.

Chiedo e consiglio loro di coltivare un prodotto piuttosto che un altro: si è creata una bellissima relazione, una vera collaborazione, fondamentale per chi è in cucina. Bontà, qualità e legame con il territorio: ecco perché la difesa del prodotto nostrano mi vede così convinta.

A proposito di Territorio: Ristorante Hotel Al Sorriso, in provincia di Novara a due passi dal lago d’Orta: pluristellato. Villa Crespi a Orta San Giulio, con Chef Antonino Cannavacciuolo. La locanda di Orta, 1 stella. Nel giro di 10 km troviamo una vera e propria costellazione! Che aria si respira in quell’angolo di Piemonte? Quale il segreto di questa congiunzione astrale?

LV: Ritengo da parte mia, ma anche dei colleghi, che il comune denominatore sia esaltare la nostra zona e la storia di questa parte alta del Piemonte, terra di confine, considerata poco piemontese e più lombarda. C’è una grande differenza tra il nostro territorio dei laghi e le altre zone regionali, es. l’Albese, il Monferrato, il Cuneese, dove si respira di più l’aria piemontese.

Qui abbiamo un forte desiderio e un grande impegno per portare nuovamente turisti in un territorio un po’ abbandonato e dimenticato: un tempo la zona dei Laghi (Maggiore, Orta) era prestigiosa, meta incantata e desiderata in qualsiasi stagione. Siamo in realtà una mescolanza di tradizioni, tra Piemonte, Lombardia, zona lacustre, Liguria perché questi erano percorsi di scambi e di passaggio verso il nord. Siamo anche sotto l’influsso della Svizzera e del Centro-Europa.

La mescolanza può essere intrigante ma rende l’identità un po’ vaga: questa concentrazione di strutture stellate può contribuire a ridefinirla e rafforzarla, rendendo attrattiva una destinazione sia per il pubblico straniero, da sempre sensibile al fascino di questa terra, sia italiano, che la riscopra, anche per supportare le attività non solo ristorative. Spero che questo contribuisca a salvare anche attività commerciali o artigianali altrimenti perdute, rivalutando un grosso indotto turistico.

Abbiamo parlato di prodotti di qualità, di legame tra territorio e ristorazione, di importanza della filiera corta. Come vede il recupero delle ricette tipiche e delle abitudini alimentari della sua terra? Come si pone nei confronti della ricerca e con quali tecniche?

LV: Son sempre partita dai piatti dalla tradizione, naturalmente leggendola in una chiave diversa, anche se come spiegato la tradizione della nostra zona non è così lineare e chiara come in altri territori. Partire dalla terra è comunque il percorso giusto: per esempio qui nella zona dei laghi c’è una forte tradizione del riso, dei prodotti caseari (burro e formaggi alpini della val Formazza e della Val Sesia), le polente; quindi per me amare la tradizione significa recuperare e selezionare prodotti di qualità.

Ricette fra Tradizione e Innovazione - Luisa Valazza

Prodotti del territorio esaltati e presentati in chiave moderna.

L’innovazione sta negli accostamenti e nelle cotture. Un tempo si facevano gli stracotti: a esempio il guanciale veniva cotto in pentola per lunghe ore. Ora si tende a utilizzare la cottura a basse temperature per mantenere il massimo della qualità e delle caratteristiche organolettiche del prodotto.

Si cambiano le tecniche di cottura per mantenere la bontà e la sapidità del piatto di un tempo ma con un’attenzione straordinaria ai valori nutrizionali, per incontrare i palati e l’esigenza degli ospiti con una proposta gustosa ma salubre. Possiamo ottenere morbidezza ma con meno grassi, utilizzando altre materie prime e gli aromatici.

I nostri ospiti dopo il pasto devono lavorare, devono fare un viaggio e quindi uscire dal nostro ristorante leggeri e con un’esperienza di grande piacere: innovare vuol dire sostituire certi prodotti eliminando cosa è nocivo alla salute. Ricercare vuol dire sperimentare accostamenti che esaltino il gusto del prodotto senza appesantire e senza creare inconvenienti. Io faccio molta attenzione ai sali e ai grassi.

Convergenza di sapore e leggerezza, salubrità e digeribilità: ecco la ricetta giusta.

Perché l’immaginario collettivo dà per scontato che un uomo in cucina possa essere un genio, mentre ci si immagina che una donna sia una buona cuciniera, una valida esecutrice? Ha mai visto il film Julia & Julie, su Julia Child, americana che vive e cerca la sua strada in cucina in una Francia dove una donna in brigata era vista quasi come eresia? Erano gli anni 60, sicuramente ne è passata di acqua sotto i ponti.

LV: I tempi sono cambiati, ma ricordiamoci che quando ho cominciato ai fornelli, negli anni 70 e 80, c’erano moltissime donne che governavano cucine di trattorie e ristoranti. Forse ritenute figure di cuciniere che proponevano la cucina della mamma e della nonna: il mondo della ristorazione vedeva la donna limitata alla cucina familiare, tradizionale, classica. La cucina della famiglia fatta bene ma con il confine e il marchio della tradizione.

Adesso le donne in cucina, la nuova generazione di donne chef, sono più grintose e combattive. Creano una identità precisa e definita: costruiscono un personaggio molto di più rispetto ai miei tempi. La mia filosofia di cucina, pur avendo introdotto idee nuove nell’accostamento e nuove tecniche nella cottura, parte dalla tradizione e dal prodotto territoriale. Sono molto determinate, con l’obiettivo di distinguersi e di affermare la propria personalità, ma attenzione deve avere solide fondamenta.

Ad esempio, vedo fare grande uso di petali, erbe e foglioline a iosa per imporre uno stile. Anch’io le usavo già negli anni 80, quando ho cominciato, ma con l’obiettivo di accostamenti e funzionalità del piatto, non come orpelli, con un uso fine a se stesso o per imporre uno stile. In tal caso non sono rivoluzioni o novità. Tutto dipende dalle motivazioni che ti spingono a utilizzarle.

Le donne ora sono più presenti, su Facebook e sui social media, sulla scena e sotto i riflettori: noi eravamo molto concentrate sul lavoro e sul modo di continuare, perché apparteniamo a un’altra generazione. Ho 65 anni e forse eravamo anche più timorose nel raccontare la nostra storia. Viviana Varese e Cristina Bowerman potrebbero essere un po’ come le nostre figlie.

La vostra generazione può quindi aver fatto un po’ da battistrada anche per quelle future. Avete costruito un percorso che le nuove generazioni stanno esplorando anche con mezzi e strumenti nuovi, come i social media, per poter comunicare e proseguire la vostra storia e la vostra tradizione. Cosa ne dice?

LV: Esatto. Abbiamo preparato le fondamenta di quella casa che abbiamo edificato e che le nuove generazioni stanno continuando a costruire, dando l’input a quello che sta accadendo ora.

Come dicevo, ci sono sempre state le donne a guida della cucina, soprattutto nelle piccole realtà a conduzione familiare. La cucina familiare delle cuoche non è da vedere solo come limite, è stata importante per conservare la tradizione, perché la donna è più attenta dell’uomo alla salvaguardia del territorio.

Le donne chef di oggi desiderano fare un passo in più: noi abbiamo salvaguardato e iniziato un’evoluzione. Loro evolvono ancora, perché rappresentano il futuro della cucina, che può e deve cambiare. Non possiamo farlo senza conservare con cura e amore le nostre radici: ecco a mio avviso il passaggio del testimone che si sta facendo. Proteggere il territorio e il nostro prodotto, significa anche difendere specie e coltivazioni di un tempo.

[…]

Tieniti pronto per la 2^ parte dell’intervista, prevista in uscita la prossima settimana. Stay tuned!

PRESENTAZIONE LIBRO

Segui le evoluzioni del nostro nuovo libro, scritto con il collega Luca BoveIngredienti di Digital Marketing per la Ristorazione.

Save the Date: 18 Novembre 2015 alle ore 18:00
Feltrinelli – Torino, Piazza CNL

Conclusione

L’intervista a Chef Luisa Valazza è risultata così ricca e intrigante, da richiedere necessariamente una seconda parte, in cui parleremo di menù, di organizzazione del lavoro in cucina e dell’impiattamento. Sei curioso di saperne di più sull’arte culinaria di Luisa Valazza? Vuoi comprendere meglio la scienza della conduzione del suo ristorante stellato? Lascia un commento, fai una domanda e approfitta della sua esperienza, in attesa di leggere il seguito di un’intervista coi fiocchi.

Le interviste di CnR

a cura di

Per la rubrica Ricetta del Successo

Nicoletta Polliotto

Chef di Cucina per Muse Comunicazione®, Web Media Agency specializzata in analisi, pianificazione e realizzazione di progetti di promozione on-line per il Food&Wine, il Turismo e le PMI.

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