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Ristorazione Post Covid-19: Creare un Sistema Territoriale

Ristorazione Post Covid-19: Creare un Sistema Territoriale

Quante sono le variabili da tenere sotto controllo quando parliamo di pandemia da Covid-19 e proposta ristorativa? Il primo pensiero va rivolto alla salute, al benessere di ospiti e collaboratori.

È importante trovare soluzioni per evitare il collasso economico e per rilanciare il più presto possibile la nostra impresa. Ne parliamo oggi con → Davide Pinto, imprenditore e ristoratore a Torino.

Bio di Davide Pinto

Dopo gli studi in Antropologia Sociale, Davide Pinto ha iniziato a lavorare nel mondo della somministrazione nel 2008 diventando imprenditore.

Interessato al mondo della mixologia, ha avuto la possibilità di sperimentare prima presso il locale Diwan a Torino e, successivamente, con Affini San Salvario riv.1 e Affini Porta Palazzo riv.2.

Grande amante delle sfide e delle sperimentazioni, negli anni Pinto ha rilanciato lo storico marchio del vermut Anselmo, portandolo nel mondo della mixologia. Ha collaborato alla creazione di prodotti innovativi, facendo rete con realtà diverse dalla sua, per creare nuove esperienze e favorire una cultura del bere consapevole e di qualità.

Tra i prodotti più noti: Hempatico, il primo vermut alla canapa, L’Turineis, il primo vermut con fave di cacao, in collaborazione con il mastro cioccolatiere Guido Castagna, il primo Sake italiano con il riso nero di Vercelli, grazie alla collaborazione con l’azienda vercellese Gli Aironi, Il Taggiasco, il primo gin con olive taggiasche (al Sial di Parigi 2018 ha vinto il premio come prodotto più innovativo al mondo).

Il 2020 ha visto la pubblicazione del libro Serendipity di Oscar Farinetti, incentrato sugli errori “vincenti” nel mondo dell’enogastronomia, per cui Davide Pinto ha scritto un capitolo dedicato al Negroni Sbagliato.

A breve nascerà il nuovo bistrot di Pinto all’interno di Green Pea, il primo retail al mondo dedicato alla sostenibilità, ideato da Francesco Farinetti.

Intervista

I locali hanno riaperto, feriti da mesi di chiusura e di incertezza. Il pubblico è desideroso di rincontrarsi ma è intimorito e incerto.

Anche noi, in CnR – Comunicazione nella Ristorazione, abbiamo riflettuto su alcune linee guida per sostenere e affiancare gli operatori in questa fase delicata.

Obiettivo – progettare pianificare in tempo la ripresa e il rilancio delle attività produttive per ristoratori.

Oggi parliamo con Davide Pinto della sua esperienza di somministratore.

Buongiorno Davide e grazie per dedicarci il suo tempo. Se dovesse raccontare con una manciata di parole cosa significa oggi essere food maker?

Davide: Buongiorno a voi e grazie per l’attenzione e per l’interesse.

In questi mesi di lockdown abbiamo avuto tempo per pensare e ripensare alla nostra attività e al nostro lavoro. Oggi, essere food maker credo implichi essere coraggiosi e capaci di rimettere in circolo la propria idea imprenditoriale, partendo dagli elementi che consideriamo più importanti e vivi.

Il periodo che abbiamo vissuto ci ha permesso di ripensare alla nostra offerta gastronomica, di concentrarla su ciò che più ci sta a cuore e riteniamo giusto nei confronti dei nostri consumatori.

Tra giugno e luglio vedremo se questo nuovo modello incontrerà anche i gusti del cliente.

Ci può raccontare in breve la sua storia, le linee guida e la filosofia della sua cucina, dell’esperienza che si vive nei suoi ristoranti e locali?

DP: Io sono “atterrato” nel mondo della ristorazione quasi per caso, dopo un percorso di studi in antropologia all’Università e dopo un’esperienza di rappresentanza sindacale delle piccole e medie imprese.

Si parla di 15 anni fa. Non avevo esperienza e non ero neanche un “figlio d’arte”. Mi sono innamorato di questo mondo e per emergere ho applicato quello che avevo fatto negli anni precedenti: mi sono messo a studiare, appassionandomi sempre più e facendo ricerca per trovare nuovi modi di approcciarmi al mercato.

Penso che la “ricerca” sia uno degli elementi che contraddistingue la mia storia e di conseguenza la food experience che offriamo ai nostri clienti.

Quindici anni fa, per esempio, abbiamo lanciato la mixologia sperimentale all’interno di uno dei primi locali torinesi che si era messo a fare drink di qualità… il Diwan.

Ora che l’azienda Affini è cresciuta e gli input esterni sono più numerosi, questo spirito di ricerca mio e dei miei collaboratori è aumentato. Ognuno di noi coltiva le proprie passioni.

Penso al mondo della mixologia, con il bar manager di Affini Michele Marzella che studia vini e liquori, creando nuovi cocktail. Io, invece, mi sto lasciando affascinare dal mondo del caffè, verso cui sto investendo passione e tempo.

Come ritiene il mercato torinese: è colto, sperimentale, attento all’innovazione oppure abitudinario, tradizionalista, restio al cambiamento?

DP: Il mercato torinese lo definisco “sabaudo”. Un mercato informale, ma anche elegante, appassionato e istruito. È un po’ più povero degli altri mercati, penso a Milano e Roma, perché gli scontrini in media sono più bassi, ma è una grandissima palestra.

Ci sono, da parte dei torinesi, forti esigenze accompagnate da un grande intelletto che ci impongono di proporre quotidianamente alta qualità, cercando di rimanere in parametri economici accessibili.

Questa palestra ci permetterebbe, nel caso volessimo aprire un giorno in un’altra città italiana, di affrontare il mercato con le spalle larghe e con buone probabilità di successo.

Durante la pandemia come le è sembrata Torino? I suoi clienti come hanno reagito alla chiusura del ristorante?

DP: Io sono uno dei pochi fortunati che ha potuto vivere Torino in pieno lockdown attraverso il delivery. Torino in quegli strani giorni mi è apparsa di una bellezza struggente.

Siamo stati tra i primi a chiudere, anticipando le delibere delle istituzioni. Una decisione presa in coscienza, quando abbiamo visto che il nostro sistema sanitario nazionale ha iniziato a essere sotto pressione. Una forma di rispetto e sostegno verso gli operatori sanitari e verso i nostri clienti.

Siamo stati tra i primi a partire con il delivery. Un periodo che non scorderò mai. Ho potuto apprezzare la nostra città vuota e bellissima, godere di momenti emozionanti durante la consegna a domicilio, che ho voluto fare in prima persona:

I sorrisi negli occhi delle persone, quando consegnavo il loro aperitivo, valevano tantissimo… Ho ancora la pelle d’oca a ripensarci.

Lei, Davide, quale tipo di reazione ha avuto? Come si sente, come individuo e nella sua vita personale?

DP: Ho cercato di agire razionalmente. Come dicevo, quando ho visto le difficoltà del sistema sanitario nazionale – di cui io godo a causa di una malattia come la sclerosi multipla – ho pensato fosse mio dovere come uomo, membro di una società ma anche come padre, di dare un segnale forte e fare in modo che ai miei figli arrivasse un sistema sanitario sano e integro.

La sanità pubblica ha un valore altissimo e va difesa con tutto quello che abbiamo, sempre. Quindi, ho deciso di chiudere, anche se ci ho rimesso a livello economico.

Mi sono rimesso in moto, prima con una piccola economia, quella del Delivery, rispettando tutte le regole. Penso di aver avuto un comportamento giusto e non isterico nei confronti del virus. Questo mi ha permesso di ripartire tutelando la mia salute, dei miei figli e quella dei miei clienti.

Ci racconta l’esperienza che ha vissuto il Davide imprenditore e Ristoratore. Come si è trasformato il suo lavoro e in che modo si è organizzato?

DP: Ho agito nello stesso modo, sia come uomo che come imprenditore, due facce della stessa medaglia, perché un lavoro così totalizzante rappresenta per forza di cose anche la mia vita.

Non si tratta solo dell’aspetto puramente economico. Se con il mio team scelgo una strada e vedo che quella regge, è sostenibile, piace ai clienti, c’è anche una forte gratificazione a livello umano.

Un esempio è proprio il delivery degli aperitivi. Quando sono partito ho ricevuto molte critiche, ma ho studiato le varie leggi, ho riflettuto e posso dire che sono forse stato il primo in Italia ad aver sviluppato l’attività del ready to drink, cioè dell’aperitivo consegnato a casa e preparato al momento.

Un format che si è rivelato vincente, perché in pieno lockdown ho servito oltre 500 aperitivi in un mese di lavoro. Quindi idea, studio delle leggi e delle potenzialità, applicazione sul mercato e sostenibilità: il risultato è stato vincente.

Il lavoro durante il lockdown è stato produttivo. Abbiamo condiviso progettualità utilizzando sistemi di comunicazione da remoto, scegliendo gli orari giusti per tutti. Una piccola trasformazione per la nostra attività e per la qualità della nostra vita.

Ha attivato il Food Delivery e poi dal 9 maggio il Take Away? Come vi siete organizzati?

DP: Con il delivery sono partito prestissimo, a inizio marzo, ed è andato molto bene.

Abbiamo studiato la normativa e siamo stati tra i primi in Italia a studiare un drink fatto sul momento, imbottigliato e portato a casa del cliente. Abbiamo scommesso e vinto. Il formato da 500ml è risultato quello giusto, perché permette di fare un aperitivo per coppia.

Nel rispetto della nostra filosofia abbiamo utilizzato materiali ecosostenibili. Un’iniziativa che ha rafforzato la nostra brand reputation e di cui vado orgoglioso.

Il Take Away ha avuto una rilevanza minore in termini economici e di tempo, ma è stato importante a livello umano, perché la gente aveva voglia anche solo di venirci a salutare. È stato un momento di incontro, per riprendere il filo interrotto, per fare quattro chiacchiere e tornare ad essere affini.

Parliamo anche di rischi e opportunità degli scenari post Covid-19, essendo ormai entrati in Fase 3?

DP: Rischi e opportunità? Una domanda a cui è difficile rispondere. Leggo che molti hanno una loro interpretazione, ma nessuno si è permesso di dire: «Vediamo quale sarà il sentiment della clientela».

Non possiamo continuare a parlare solo tra noi addetti ai lavori. Si potrà rispondere con cognizione di causa a questa domanda soltanto dopo una settimana o due di lavoro, quando si potrà vedere la reazione del consumatore e potremo così capire lo scenario che ci aspetta.

Noi ristoratori dobbiamo adottare tattiche veloci, adattarci ai cambiamenti nel breve periodo, con una visione imprenditoriale ben salda nel medio–lungo periodo.

Soffermiamoci sul rapporto con i suoi colleghi del territorio. Un tema che abbiamo molto a cuore. Mi ha colpito molto il progetto con l’associazione di Via Baretti (avete portato la movida torinese nelle case delle persone)… Cosa è accaduto?

DP: Con alcuni miei colleghi seri e validi, siamo stati i primi in Italia a creare una rete di impresa dal nome San Salvario Experience.

Abbiamo deciso di unire le nostre forze, mettendo da parte gli interessi individuali per affrontare come rete il momento di emergenza, venire incontro ai desideri dei nostri consumatori, continuare a far battere uno dei cuori della vita notturna torinese offrendo un’esperienza domestica di movida, dall’aperitivo alla cena.

Le va di lanciare qualche consiglio agli albergatori, ristoratori e chef che ci stanno leggendo?

DP: É sempre difficile dare consigli. Posso solo basarmi sulla mia esperienza, non credo di possedere la sfera di cristallo.

Quello che posso dire è: andiamo avanti, rimbocchiamoci le maniche e speriamo che lo stato comprenda il grande sacrificio umano che stiamo offrendo e soffrendo.

Mi sento solo di dare un consiglio ai miei colleghi (lo stesso che do ai miei figli): prendetevi del tempo, conoscetevi meglio, mettetevi in discussione, cercate le giuste corde che muovono la vostra vita.

Se necessario soffrite, perché conoscendo meglio noi stessi potremo uscire uomini e donne più temprati e forti. Bisogna ascoltare, ascoltarsi, confrontarsi e fare rete, ora più di prima.

Buona ripartenza a tutti!

Conclusione

Ecco un altro esempio di imprenditoria condivisa: fare rete, assumersi responsabilità, valorizzare i territorio, lavorare compatti per obiettivi di ripresa comuni. Scrivi le tue opinioni, le domande e le curiosità da condividere.

Raccontaci se hai esempi di rete e di sistema territoriale che vuoi sottoporre alla nostra attenzione.

La nostra rassegna di incontri e interviste, per confrontarci con le diverse esperienze e strategie da adottare nel post Covid-19, continua… Resta in contatto, diffondi i contenuti e contribuisci alle nostre discussioni.

Proponi la tua esperienza, offriti volontario per raccontare la tua storia, suggerire nuove interviste o recensioni.

Consulta gli eventi del nuovo Digital Food Marketing Lab, percorsi di formazione verticali e immersivi, che si sono spostati online.

Nasce → DFMLab Academy Online

Online, un ciclo di giornate formative dedicate alle nuove opportunità del digitale e sociale per Food e Ristorazione. Il coronavirus ci ha “sfrattati“ dai luoghi d’incontro fisici ma… Noi ci siamo trasferiti online con giornate di lezione, simulazioni, esercizi e tanto coaching.

Progettato da Muse Comunicazione per Food Makers e Operatori dell’Accoglienza, coordinato da Nicoletta Polliotto.

I migliori specialisti del settore ti aspettano per affrontare tematiche verticali in Full Immersion Day, su piattaforma online, comodamente collegato da casa.

Eventi Librari e Seminari in Italia

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Le video lezioni in pillole ora anche su YouTube, ogni Mercoledì h.11:00, in replica ogni giorno in mattinata sulla pagina Facebook di Muse Comunicazione.

Prossimi eventi: in definizione…

N.B. Condividi aspettative e bisogni su Turismo e Ospitalità nella pagina della nostra: Collana DMT – Digital Marketing Turismo.

a cura di

Per la rubrica Ricetta del Successo

Nicoletta Polliotto

Chef di Cucina per Muse Comunicazione®, Web Media Agency specializzata in analisi, pianificazione e realizzazione di progetti di promozione on-line per il Food&Wine, il Turismo e le PMI.

Seguimi su → twitter facebook google+

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