Ruolo Politico e Sociale del Ristoratore: Intervista a Dimitri Bianchi

In tempi così complessi, unanime è stata la critica e la condanna di molta parte della ristorazione nei confronti di qualsiasi iniziativa governativa di sostegno e ristoro per l’ambito della somministrazione.
Poche le voci fuori dal coro che hanno invitato al dialogo costruttivo e alla solidarietà. Tra queste, ne evidenziamo una nell’intervista odierna → Dimitri Bianchi, titolare di La Società dei Carbonari di Torino.
Bio di Dimitri Bianchi
Dimitri Bianchi è un ristoratore di Torino, salito agli onori della cronaca per una dichiarazione pubblicata sui social media, scatenando Odi e Amori nel giro di pochissime ore
Nato e cresciuto a Cecina (LI), nel 1980, dal 2001 al 2011 si trasferisce a Bologna per studio, lavoro e sollazzo. Laureato nel 2008 in Scienze della Comunicazione con Specialistica e due parentesi all’estero (Francia e Australia).
Dal 2012 è a Torino e qualche radice l’ha messa. Ex calciatore, universitario, dj, party-boy, emigrato, sguattero e capo, da sempre uomo di mondo. Ama leggere, scrivere e cucinare… Soprattutto mangiare. Sommelier AiS e assoluto amore per il vino.
Nel 2013 apre La Società dei Carbonari con due soci. Dopo un anno e mezzo i due sono andati via e ne sono entrati altri quattro (Albano Scevola, Giuseppe Lo Re, Luca De Santis e Vito Scevola).
In ristorante si occupa un po’ di tutto ma non cucina, non è un cuoco.
Ha quarant’anni, ma fa finta di non dimostrarli.
Intervista
Buongiorno Dimitri, grazie per averci dedicato il tuo tempo. Partiamo di qui… Chi è il Food Maker oggi?
Dimitri Bianchi: Buongiorno. Felice di raccontarvi idee e storie legate alla nostra esperienza. Ehm!… Bel domandone.
Partiamo dal presupposto che su questo argomento si possono scrivere libri (e infatti se ne scrivono). Il cibo, in tutte le sue forme, in tutte le declinazioni e trasformazioni possibili, racconta sempre una storia.
Scegliere il cibo, maneggiarlo e proporlo al pubblico pone sempre nella posizione di fare scelte più o meno consapevoli ed esplicite. Sono due i fattori sui quali non si può scendere a compromessi: l’Onestà e la Trasparenza.
Il cliente oggi ha una grande consapevolezza e, detta in modo schietto, non puoi pensare di fregarlo. Essere Food Maker comporta scelte consapevoli e vendere il prodotto per ciò che realmente è e vale.
Puoi raccontarci in breve la tua storia, quali le linee guida, la filosofia della vostra Cucina e della Food Experience in ristorante?
Durante e dopo la laurea ho fatto molti lavori (a Livorno, Bologna, Parigi e in Australia) tra cui tabaccaio, panettiere, direttore artistico di un locale, organizzatore di concerti, barman, cameriere, dj, addetto stampa ecc.
Arrivato a Torino ho lavorato un po’ come barman e cameriere per poi aprire La Società dei Carbonari nel 2013. La nostra cucina è italiana, in parte piemontese. Il nostro locale è una via di mezzo tra osteria e ristorante.
Filosofia semplice e attuale: lavorare il più possibile con prodotti freschi e di stagione, cambiare spesso quasi tutto il menù, cercando di distinguerci con proposte originali, anche uscendo dagli schemi.
Cerchiamo di essere sempre professionali e attenti al cliente, ponendoci in modo sempre gentile ma non formale. Tentiamo di regalare al cliente una Food Experience genuina, piacevole e, almeno in parte, sorprendente.
Come ritieni il mercato torinese? È colto, sperimentatore, attento all’innovazione oppure abitudinario, tradizionalista, restio al cambiamento?
C’è di tutto. La clientela è veramente molto varia. Credo che quello torinese sia un mercato con una cultura enogastronomica medio-alta, anche rapportato al solo contesto italiano. Ritengo che Torino sia una buona città-laboratorio, anche per sperimentare e osare qualcosa di innovativo.
La risposta dei torinesi, anche se inizialmente un po’ timida, c’è sempre. Credo ci sia molta curiosità e apertura, accompagnata da una cultura del cibo e del bere che ha forti radici.
Durante la diffusione pandemica del Covid-19, come ti è apparsa Torino? I tuoi clienti come hanno reagito alla quarantena e alla chiusura del ristorante?
La città ha reagito in grandissima maggioranza con razionalità e compostezza. Vivo a Torino da otto anni e ho imparato ad apprezzarne il grande senso civico dei suoi abitanti.
I clienti affezionati sono stati vicini, ci hanno sostenuto finché è stato possibile. Appena potremo riaprire, torneranno volentieri. In una situazione come questa è bello scoprire il lato umano alla base dell’interazione lavoratore-cliente. Se hai saputo coltivarlo, i clienti non dimenticheranno.
Tu quale tipo di reazione hai avuto? Come ti senti, come individuo e nella vita personale?
Ho sempre cercato di anteporre il problema generale al mio problema particolare. Ho capito, da subito, che la pandemia ci avrebbe messo a lungo duramente alla prova. Ho reagito lavorando al meglio, quando possibile.
Sono provato, come tutti: questa situazione mi ha danneggiato economicamente, sia personalmente che come impresa. Anche psicologicamente è una sfida molto seria e io non faccio eccezione.
Come si è trasformato il tuo lavoro durante questi mesi ? Hai attivato e organizzato Food Delivery e Take Away? Settembre e i primi giorni d’autunno sono andati bene?
Come persona ho attivato tutte le energie per rimanere il più possibile stabile e avere consapevolezza di ciò che stava succedendo. Ho capito subito che sarebbe stato uno tsunami, anche economicamente.
Abbiamo fatto squadra con i soci e i dipendenti. La prima cosa che ho detto alla mia squadra è stata: «Ragazzi, in questa fase dobbiamo essere una famiglia e cercare di uscirne tutti insieme, anche con sacrifici».
Noi soci, ovviamente, siamo stati i primi a farne. Abbiamo proposto una decina di giorni di delivery e di asporto da metà maggio, poi abbiamo riaperto il 23 maggio al pubblico.
Tutto sommato sino a fine ottobre è andata benino, diciamo che siamo riusciti a stare a galla. Ho cercato di metterci l’anima e di dare gli stimoli giusti: in una fase così delicata è essenziale fare gruppo e tirare fuori il massimo da ognuno.
Sei balzato agli onori della cronaca per un post su Facebook in cui parlavi delle tue sensazioni rispetto alle chiusure della 2^ ondata. Ci vuoi raccontare cosa è accaduto in quella famigerata giornata?
Beh! Ho scritto quel famoso post, divenuto in brevissimo tempo virale, proprio all’interno del mio ristorante chiuso, azione non ponderata.
L’ho scritto in due minuti. Dopo qualche ora aveva già raggiunto centinaia di condivisioni. Nella stessa giornata mi ha contattato la redazione di Fanpage.it, cui ho rilasciato un’intervista… In 24 ore ero ovunque! Ho provato sulla mia pelle la potenza della comunicazione via social.
Per farla breve… Ritenevo giusta la chiusura dei locali di fine ottobre (per me addirittura tardiva, e direi che poi i numeri purtroppo hanno dato ragione). Ero in netto disaccordo con chi aveva protestato in piazza al grido di “Lasciateci lavorare”.
Dovevamo, ovviamente, essere “ristorati” ma il Governo lo aveva già promesso. E poi lo ha fatto. Esprimendomi limitatamente al periodo di chiusura di novembre credo che gli aiuti messi in campo siano stati congrui: in questo frangente gli aiuti ricevuti non possono essere considerati un’elemosina.
Ho anche espresso il mio disappunto sull’atteggiamento un po’ vittimistico della nostra categoria, alimentato anche dai media. Per un paio di settimane non si parlava d’altro che dei “poveri ristoratori”.
Poi ho fatto altre considerazioni di natura più politica. E insomma, ne è nato un vero e proprio caso nazionale. Se qualcuno ne volesse sapere di più può leggere il post sulla mia pagina Facebook.
Per due settimane sono stato rincorso da giornali, radio e televisioni nazionali. Ho detto di no a tutti. Quel che volevo dire, l’ho argomentato in un lungo post del 12 novembre, non era il caso di espormi oltre.
Siamo onorati che invece tu abbia deciso di parlare con noi di questi temi. Dopo il caso mediatico, ti abbiamo invitato nel nostro gruppo DFM · Brigata Ristoratori Intraprendenti e lì ci siamo conosciuti. Cosa accadrà ora?
Grazie, mi fa piacere far parte di questa comunità.
Ora non accadrà nulla di strano, continuerò con la mia vita e il mio lavoro. Quel che ho scritto e detto mi poneva come voce fuori da ciò che sembrava un coro unanime, per questo ha fatto così tanto scalpore.
Se avessi accettato tutte le richieste, probabilmente sarei diventato per un po’ di giorni un personaggio televisivo. Non ci tenevo e sapevo benissimo che la mia posizione non era generalizzabile: non ho mai voluto parlare a nome di un’intera categoria.
Ho pensato fosse meglio evitare di scatenare ulteriori conflitti in una fase difficile e tesa come quella che stiamo vivendo. Inoltre, correvo il rischio enorme di essere frainteso e manipolato.
Quanto siete Digital? Come organizzate le vostre strategie comunicative sui social media? Cosa avete comunicato durante la pandemia?
Abbiamo un sito internet, pagine Fb e Instagram, siamo su Trip Advisor, The Fork e Google My Business. Comunichiamo, certo, ma onestamente potremmo farlo di più.
Durante la pandemia abbiamo comunicato il necessario, poco durante il lungo periodo di chiusura, moltissimo in occasione della riapertura e, in parte, anche dopo.
Ci siamo concentrati su messaggi sobri e propositivi, cercando di rassicurare il nostro pubblico riguardo l’adozione di tutte le misure atte ad evitare il contagio.
In che rapporto sei con i colleghi del territorio? Avete intrapreso iniziative di collaborazione facendo rete?
Sono in ottimi rapporti con tutti ma non abbiamo fatto rete, purtroppo. Forse dovuto al fatto che ognuno si è concentrato sul “leccare le proprie ferite”, impegnato a salvare la propria baracca.
Il dialogo e la collaborazione, però, sono necessari e questa fase ci costringe a capirne ancor di più il valore. A livello territoriale il bene di ognuno è il bene di tutti e viceversa.
Qualche consiglio agli albergatori, ristoratori e chef che ci stanno leggendo?
Più che un consiglio, faccio a tutti un grande augurio. Teniamo duro, perché questa fase passerà e, se saremo in grado di resistere, il futuro del nostro settore sarà ricco di soddisfazioni e di possibilità.
Ma sì, anche un consiglio: sfruttiamo questo periodo per ripensare il nostro lavoro, riflettiamo su come possiamo migliorare le nostre attività, come possiamo innovare. La fine della pandemia sarà un periodo bello e ricco di opportunità, facciamoci trovare pronti!
Grazie per attenzione e disponibilità… Buona ripresa a tutti!
Conclusione
Ringraziamo Dimitri Bianchi per averci concesso un’intervista che ha rifiutato a tante testate ben più rinomate. Dimitri è a tua disposizione per domande e consigli. Scrivi le tue opinioni sulla ricerca e l’innovazione e nuovi soluzioni di prenotazione e di distribuzione dell’offerta ristorativa.
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